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Chiavari. Causa legale per il rispetto del referendum

 

ob_civ_bilanciaDavide contro Golia: causa legale per il rispetto del referendum

 

 Dopo un anno e cinque mesi il referendum del 12-13 giugno 2011, espressione del popolo italiano con valore di legge, continua ad essere ignorato da quasi tutti i gestori.

Da allora un rimpallo di presunte competenze di numerosi soggetti (Assemblea d’Ambito dei sindaci, Autorità per l’Energia Elettrica e Gas, Ministero dell'Ambiente...) ha rinviato alle calende greche il riconoscimento dell'abrogazione referendaria, cioè di quella che da quasi un anno e mezzo è già una legge vigente della repubblica italiana e come tale non necessitante di alcun ulteriore parere attuativo.

Il primo tentativo di ignorare il referendum è di pochi giorni dopo la votazione: proprio mentre cittadini e comitati promotori stanno ancora festeggiando, una relazione di Giulio Napolitano, avvocato e figlio del Presidente della Repubblica, rassicura il gestore privato ACEA che il referendum non può essere attuato senza prima un nuovo schema tariffario del Ministero e una nuova decisione dell'Autorità d'Ambito Territoriale e che comunque non sarà mai valido sui contratti già in essere, quasi il referendum fosse un sondaggio di opinione anziché un atto pariordinato alla legge (vedi sentenze Corte Costituzionale 29/1987, 468/1990 e 199/2012) e dimenticando che gli utenti sono invece da parte loro obbligati da sempre ad accettare ogni sorta di modifica contrattuale sfavorevole in corso d'opera (aumenti delle tariffe, estensione della possibilità di distacco di fornitura...). Perché il gestore non dovrebbe fare altrettanto quando esistono precise disposizioni del codice civile (art.1339) che lo prevedono e una sentenza della Corte Costituzionale (26/2011) che configurano l'immediata applicabilità dell'esito referendario?

Il secondo tentativo di aggirare il referendum (questa volta del primo quesito, che ha eliminato l'obbligo di privatizzazione non solo dell'acqua ma anche degli altri servizi pubblici locali) è di poco dopo, col decreto D.L. 138/2011 di Ferragosto 2011, recentemente “smascherato” e vanificato da una sentenza della Corte Costituzionale. Mentre si susseguono i pareri contrari all'immediata applicazione e i gestori gongolano nella dolce attesa di un fantomatico decreto ministeriale che dovrebbe porre fine alla “pacchia” dei profitti garantiti ma che ovviamente non arriva mai (né d'altra parte è necessario), nel frattempo si continua a pagare in bolletta la “remunerazione del capitale”, cioè il profitto: a nulla servono reclami ai gestori e diffide ai sindaci, che si voltano dall'altra parte timorosi di chissà quali ritorsioni.

In questo triste quadro persone come Elisabetta hanno in tutta Italia impiegato il loro tempo per capire come ottenere il rispetto dei loro diritti e fare sì che, almeno sull'acqua, i cittadini non vengano ancora una volta umiliati e vessati: la loro arma, oltre alla innegabile evidenza giuridica di un referendum calpestato, è la capacità di fare rete e l'esperienza di anni di lotte nelle rispettive vertenze locali. Con l'esperienza raccolta da ogni parte d'Italia Elisabetta, minacciata dal suo gestore di distacco di fornitura per un presunto credito di 8 euro di indebita “remunerazione del capitale”, ha presentato questo ricorso contro Idrotigullio. Il suo intento è quello di recuperare la quota di remunerazione relativa al periodo 21/07/2011-31/12/2011 successivamente al quale, a seguito di diffida, ha pagato solo il dovuto, decurtando autonomamente dalla sua bolletta la quota di profitto del 22%: in questo modo Elisabetta ribadirà il principio che un voto popolare vada rispettato. Ma non è sola: con lei ci sono 27.000.000 di cittadini che hanno visto calpestato il loro voto.

Nella prima udienza il gestore, tramite un importante studio di avvocati, si è difeso con argomenti vecchi e nuovi ma del tutto contestabili.

La prossima udienza è fissata per martedì 18 dicembre

 

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