Forum Italiano dei Movimenti per L'Acqua

Il Salvagaente: Quale acqua dal Sindaco?

In molti comuni i consumatori ingoiano ignari acqua fuori legge, grazie a speciali dispense sulla potabilità. Il Salvagente ha passato in rassegna tutte le scappatoie adottate dagli enti locali.

In alcuni comuni d’Italia l’acqua del rubinetto è vietata ai minori di 14 anni, quasi fosse un medicinale. In altri i cittadini devono correre ogni giorno a comprare l’acqua in bottiglia, perché è scattato per tutti il divieto di potabilità. E poi la grande quantità di comuni in cui i consumatori ingoiano ignari quel che esce dai rubinetti e che tutti i requisiti per essere bevuto non li ha. Eppure, come spiega il Salvagente in un’inchiesta che sarà in edicola da giovedì 27 maggio, in tutti questi casi - a volte senza che neppure i cittadini ne siano informati - l’acqua è perfettamente legale, grazie a deroghe concesse da anni agli enti locali che non riescono a rientrare nei limiti di legge sulla potabilità.

Il Paese delle deroghe
Da quando nel 2001 è entrata in vigore la norma che impone regole più stringenti sulla presenza di inquinanti e metalli pesanti, 13 Regioni su 20 hanno fatto richiesta al ministero della Salute di consentire a questo o a quel Comune di dichiarare bevibile la sua acqua, nonostante gli sforamenti.
Tra i paesi europei l’Italia è quello che, per stessa denuncia della Ue, ha approvato più richieste di deroga. Arsenico, boro, fluoro, nitrati, vanadio e trialometani le sostanze i cui livelli più spesso “eccedono”. Colpa soprattutto dell’origine vulcanica del nostro territorio, e dell’orografia complessa, che rende le nostre acque naturalmente ricche di metalli pesanti. Ma anche la mano umana ha fatto la sua parte, e lo si nota rilevando residui di sostanze usate in agricoltura, o sottoprodotti dei processi di potabilizzazione.

Per rimediare c’è la scappatoia. Lo prevede la stessa legge 31/01, adeguamento di una direttiva europea: i Comuni che si rendono conto di avere parametri non in regola possono fare richiesta di deroga alla Regione, che a sua volta la gira al ministero della Salute, che, sentito il Consiglio superiore di sanità, concede che l’acqua venga comunque destinata “a uso umano” e bevuta, ma a certe condizioni. Tra queste, la presentazione di un piano di interventi per bonificare le acque, e l’impegno a informare la cittadinanza del problema.

Fino a oggi non è mai successo che il ministero rifiutasse una deroga. D’altro canto, difficilmente si è visto un Comune o una società distributrice “pubblicizzare” questi problemi. Quanto agli interventi, 9 anni non sono stati sufficienti a eliminare le criticità, specie in alcuni territori. Lo testimoniano i report annuali di Cittadinanzattiva, che da anni monitora la “purezza” delle acque italiane. Dall’ultimo dossier sul servizio idrico integrato, pubblicato a ottobre 2009, emerge la situazione in tutta la sua assurdità.

Il federalismo del rubinetto
Il primato va alla Campania, in deroga permanente da 7 anni, perché dal 2002 non riesce a fare rientrare i livelli di fluoro. Ma l’elenco è lungo: il Lazio vi compare dal 2006 (fluoro, arsenico, e vanadio oltre i limiti), la Toscana dal 2003 (prima magnesio e solfati, poi arsenico, boro, e trialometani, cui si sono aggiunti i cloriti), la Lombardia dal 2004 (arsenico) come il Piemonte (arsenico e nichel, rientrato nel 2008) e la Puglia (cloriti fino al 2006 e trialometani). Nel 2009 in 8 hanno rinnovato la richiesta. Ma anche in questo caso la situazione non si è di molto modificata.

Per il 2010 sono in attesa di un responso Lazio, Toscana, Trentino, Lombardia, e Campania, ma le cose si vanno facendo più difficili. Da quest’anno dovranno attendere la valutazione del comitato scientifico Scher dell’Unione europea, che si esprimerà sulla validità dei piani di intervento. E dal 2012 non avranno più scappatoie: niente più deroghe. Intanto hanno tre anni di tempo, anche se il primo pronunciamento del comitato non fa presagire molta tolleranza. Constatando che in alcuni territori i livelli di inquinanti superano di ben cinque volte i valori massimi ammissibili, lo Scher ha dichiarato che l’acqua italiana arriva in alcuni casi a mettere a rischio la salute di bambini e adolescenti, specie se le sostanze fuori legge sono arsenico, boro e fluoruro.

“Colpa di Bruxelles”
Non consola, saperlo. Anche se qualcuno fa vedere l’altra faccia della medaglia. Il numero effettivo dei comuni dove l’acqua servita è “non a norma” infatti è diminuito molto. Lo afferma Renato Drusiani, responsabile Acqua per Federutility, la federazione delle imprese energetiche e idriche. “A dispetto delle apparenze, in alcune zone d’Italia si è lavorato molto in questi anni, e si è investito tanto sulla qualità dell’acqua”. E poi, dice, “l’Italia non è messa peggio di altri paesi. Il problema delle deroghe per lo più è stato originato dal fatto che, con il recepimento della direttiva europea, sono stati abbassati drasticamente i limiti ammissibili delle sostanze indesiderate, e di colpo molti Comuni si sono trovati non in regola. Faccio un esempio: l’Oms ha ridotto di cinque volte i livelli consentiti di arsenico, eppure l’arsenico è stato bevuto per millenni dagli abitanti della Toscana e del Lazio, perché presente naturalmente nelle ac!
que. Diversamente, negli stessi anni è ‘sparito’ il problema dei cloriti, derivati dall’uso di disinfettanti, perché a livello internazionale è stata stabilita una soglia più alta”.
Insomma, molti Comuni sarebbero stati messi in crisi dalla burocrazia. Ma mentre qualcuno è riuscito a mettersi in regola, altri hanno continuato a servire ai propri cittadini acque non proprio limpide.


(26 Maggio 2010)

volantino Acqua pubblica2018