Forum Italiano dei Movimenti per L'Acqua

Bussi, tegola sulla bonifica dal Consiglio di Stato.

bonificaIl Forum acqua: commissari e strutture ministeriali inadeguate, serve assunzione di responsabilita'.

Il Forum Acqua esprime forte preoccupazione per la sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato l'ingiunzione del settembre 2013 del Ministero dell'Ambiente a Edison per l'immediata bonifica delle discariche Tremonti e 2A e 2B a Bussi.

Il Consiglio di Stato ha censurato la scelte del Direttore generale del Ministero Pernice di ricorrere, quale motivazione alla base dell'ingiunzione, ad una norma del 1995 relativa a un tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, e in particolare sul comma 32, recante una sanzione pecuniaria per l’esercizio di discariche abusive o l’abbandono di rifiuti. Una norma che era addirittura abrogata (!).

Il Consiglio di Stato ha chiarito che bisognava seguire la norma vigente, il Testo Unico sull'Ambiente, che dal 2006 regola tutto il procedimento di messa in sicurezza e bonifica.

La lettera del settembre 2013 aveva suscitato qualche perplessità per una semplice ragione: se bastava una lettera di una pagina e mezza e il ricorso ad una legge del 1995, come mai il Ministero aveva tirato fuori l'argomento a sei anni dalla scoperta della Discarica Tremonti e a cinque dalla perimetrazione del Sito nazionale di Bonifica?

Il Forum Acqua stigmatizza l'ennesima perdita di tempo di due anni con procedure degne dell'aforisma di Flaiano che diceva “In Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco”.

Sono passati 11 anni dalla presentazione del Piano di caratterizzazione di Solvay che già nel 2004 aveva evidenziato il gravissimo stato di contaminazione dell'area; 8 anni dal sequestro delle discariche Tremonti e 2A e 2B; 7 anni dal Decreto di perimetrazione del Sito Nazionale di Bonifica. Abbiamo un Commissario straordinario, Goio, e un apparato ministeriale che costano centinaia di migliaia di euro all'anno solo in stipendi di alti dirigenti (mentre i funzionari sono precari con contratti rinnovati di due mesi in due mesi) che dovrebbero lavorare per un unico obiettivo, la bonifica. A oggi neanche un metro quadro di terreno delle discariche è stato riqualificato. In altri paesi sarebbero cascate teste burocratiche da tempo, visto che in dieci anni in Germania nella Ruhr hanno riparato un'intera regione massacrata dalle industrie del novecento. Qui non sono stati ancora realizzati i piani di caratterizzazione delle aree pubbliche, cioè non ancora abbiamo  il quadro definitivo della contaminazione!

Crediamo sia venuto il tempo di chiedere conto delle loro scelte, delle loro attività e, soprattutto, dei risultati raggiunti al Direttore del Ministero Pernice e al Commissario Goio. Senza assunzione di responsabilità la bonifica resterà una chimera.

Alleghiamo qui sotto il testo della Sentenza.

FORUM ABRUZZESE DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA

3381195358, 3683188739 e-mail:segreteriah2oabruzzo@gmail.com

9 MARZO 2015

 

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N.01109/2015REG.PROV.COLL.
N. 04432/2014 REG.RIC.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4432 del 2014, proposto da Edison s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo Villata, Andreina Degli Espositi, Wladimiro Troise Mangoni, con domicilio eletto presso Riccardo Villata in Roma, Via Caccini, 1;
contro
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZIONE STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 204/2014, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2015 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Troise Mangoni, Villata e l’avvocato dello Stato Rocchitta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. La Edison s.p.a. (in seguito “ricorrente”), con il ricorso n. 472 del 2013 proposto al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, ha chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 47512/TRI del 9 settembre 2013 con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (in seguito “Ministero”) ha diffidato la ricorrente alla rimozione di rifiuti depositati nelle discariche realizzate nell'area nel Comune di Bussi, denominate “Tre Monti, “2 A” e “2B”, dove è localizzato lo stabilimento industriale di proprietà della stessa, al ripristino dello stato dei luoghi e alla eventuale bonifica delle matrici ambientali risultanti inquinate all’esito della rimozione dei rifiuti, con l’avviso che l’Amministrazione avrebbe provveduto in danno in caso di mancato adempimento entro trenta giorni dal ricevimento della diffida.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione prima, con la sentenza n. 204 del 2014, ha dichiarato il ricorso inammissibile “secondo quanto indicato in motivazione”.
Nella sentenza il ricorso è dichiarato inammissibile, per lo meno nella parte con cui la ricorrente impugna il provvedimento in riferimento a terreni oggi non in sua proprietà, perché non notificato alla controinteressata società Solvay, che è tale, afferma il primo giudice, pur se non menzionata nel provvedimento impugnato poiché da questo agevolmente individuabile in quanto proprietaria dei terreni dove sono situate le discariche “2A” e “2B” ed avendo la detta società interessi contrastanti rispetto a quelli della ricorrente, poiché, in caso di fondatezza del ricorso, sarebbe gravata della bonifica se non fosse individuato il responsabile dell’inquinamento.
Ciò rilevato il ricorso è, in ogni caso, giudicato infondato nel merito, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dell’Amministrazione resistente liquidate in euro 5.000,00, oltre gli accessori di legge.
3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.
Alla camera di consiglio del 15 luglio 2014 l’esame della domanda cautelare è stato abbinato alla trattazione della controversia nel merito.
4. All’udienza del 13 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO
1. Con l’appello si afferma anzitutto l’erroneità dell’impostazione della sentenza di primo grado per avere fondato il giudizio, quanto al merito, non sull’accertamento della legittimità o meno del provvedimento impugnato ma sulla verifica della fondatezza del presunto tentativo del gruppo Montedison – Edison di dimostrare di non essere responsabile dell’inquinamento, laddove tale responsabilità non può dirsi accertata dal Ministero, il cui procedimento in corso non ha portato a conclusioni sul punto, né sulla scorta della relazione dell’ISPRA ovvero in base alla sola ipotesi accusatoria assunta dalla Procura di Pescara e alle relative consulenze, cui il primo giudice si è invece riferito nonostante la detta relazione non sia stata considerata nel provvedimento impugnato e l’estraneità a questo dei richiamati aspetti delle indagini giudiziarie.
Con ciò trascurando, si deduce, la palese illegittimità del provvedimento in questione in quanto basato sui commi da 24 a 33 dell’art. 3 della legge n. 549 del 1995 (legge finanziaria 1996), relativi a un tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, e in particolare sul comma 32, recante una sanzione pecuniaria per l’esercizio di discariche abusive o l’abbandono di rifiuti; su una normativa cioè inconferente perché di natura esclusivamente finanziaria, recante soltanto oneri ulteriori per le discariche realizzate in violazione del d.P.R. n. 915 del 1982 e, comunque, non applicabile ratione temporis essendo stata l’abrogazione del detto d.P.R., già superato dall’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, confermata dal d.lgs. n. 152 del 2006.
Non si può condividere, d’altro lato, quanto opposto dall’Amministrazione resistente, per cui il citato comma 32 dell’art. 3 della legge n. 549 del 1995 avrebbe natura di principio fondamentale ex art. 119 Cost. ai sensi del successivo comma 35, trattandosi comunque di una norma istitutiva di un tributo speciale da devolvere alle Regioni, essendo completamente mutato il citato art. 119 e con esso tutto il sistema dei tributi regionali, né è condivisibile l’asserzione del primo giudice per cui l’Amministrazione sarebbe incorsa in un mero e non invalidante errore di sussunzione normativa contando comunque la previsione di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 che giustificherebbe l’ordine di ripristino e bonifica emanato nella specie; accogliendo questa tesi risulterebbe infatti violato il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, che richiede siano basati sul potere allo scopo normativamente conferito, conseguendone che, nella specie, si sarebbe dovuta applicare la normativa specifica prevista dal Codice dell’ambiente per l’emanazione degli ordini di bonifica e non la norma abrogata di una vecchia legge finanziaria, neppure valendo allo scopo l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, come invece asserito dal primo giudice, sulla cui base sono possibili assai limitate integrazioni della motivazione dei provvedimenti.
Restano, inoltre, la contraddittorietà tra l’aver disposto l’immediata bonifica del sito e l’avvenuta “misure - messa in sicurezza di emergenza” (Mise) e l’incongruità del termine di trenta giorni, assegnato per le complesse operazioni disposte con il provvedimento, non giustificabile con il richiamo degli articoli 305 e 306 del codice dell’ambiente fatto dal primo giudice, poiché non riguardanti il caso degli inquinamenti storici, nonchè contrastante con l’intervenuto sequestro, in un quadro di lesione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa.
Si censura, infine, la dichiarazione di parziale inammissibilità del ricorso poiché, quand’anche le aree relative alle discariche 2A e 2B siano tuttora di proprietà della Solvay, ciò che è noto al giudice eventualmente per sua sola scienza privata, l’interesse del proprietario attuale delle aree è nell’annullamento del provvedimento impugnato, essendo perciò la sua posizione quella di cointeressato sostanziale.
2. L’appello è da accogliere essendo fondato e assorbente il motivo dell’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto basato su una normativa abrogata.
2.1. Il provvedimento è motivato con la sussistenza dei “presupposti soggettivi ed oggettivi per l’applicazione alla fattispecie in questione dell’art. 3, comma 32, della legge n. 549 del 1995”, e in base alla stessa norma viene imposto alla ricorrente di “adottare tutte le misure necessarie per eliminare il rischio di contaminazione delle matrici ambientali e procedere al risarcimento del danno ambientale con ripristino dello stato dei luoghi, mediante la completa rimozione delle discariche abusive e l’avvio a smaltimento dei rifiuti illecitamente depositati nel sito.”.
2.2. L’art. 3, comma 32, della legge n. 549 del 1995 dispone che <<Fermi restando l'applicazione della disciplina sanzionatoria per la violazione della normativa sullo smaltimento dei rifiuti di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e successive modificazioni, e l'obbligo di procedere alla bonifica e alla rimessa in pristino dell'area, chiunque esercita, ancorché in via non esclusiva, l'attività di discarica abusiva e chiunque abbandona, scarica o effettua deposito incontrollato di rifiuti, è soggetto al pagamento del tributo determinato ai sensi della presente legge e di una sanzione amministrativa pari a tre volte l'ammontare del tributo medesimo. Si applicano a carico di chi esercita l'attività le sanzioni di cui al comma 31. L'utilizzatore a qualsiasi titolo o, in mancanza, il proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva, è tenuto in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie ai sensi della presente legge, ove non dimostri di aver presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della costatazione delle violazioni di legge. Le discariche abusive non possono essere oggetto di autorizzazione regionale, ai sensi dell'articolo 6 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915.>>
2.3. La normativa in questione, in vigore con il 1996, deve ritenersi abrogata e perciò inidonea quale base normativa del provvedimento impugnato, emanato nel 2013, essendo intervenuta la successiva specifica disciplina della materia della bonifica dei siti inquinati, dapprima con l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), e relativo regolamento attuativo disposto con il d.m. n. 471 del 1999, e quindi con il d.lgs. n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale), il cui titolo V della Parte IV (articoli da 239 a 253) è interamente dedicato alla “Bonifica dei siti contaminati”, recando l’art. 264 dello stesso d.lgs. l’abrogazione espressa del d.lgs. n. 22 del 1997 (oltre quella del d.P.R. n. 915 del 1982 già abrogato con l’articolo 56 del d.lgs. n. 22 del 1997).
In particolare la normativa ora citata del d.lgs. n. 152 del 2006 disciplina oggi il procedimento per la bonifica prevedendo nell’art. 240, in estrema sintesi, da un lato, che l’intervento si esplica attraverso l’obbligo di messa in sicurezza (a sua volta prevista di emergenza, operativa e permanente) e la bonifica e, dall’altro, che esso presuppone la duplice fase, dell’accertamento dei valori CSC (concentrazioni soglie di contaminazione) e, al superamento di questi e a seguito del conseguente obbligo di caratterizzazione, dell’accertamento del superamento dei valori CSR (concentrazioni soglie di rischio), passandosi con ciò, eventualmente, dalla situazione di “sito potenzialmente contaminato” a quella di “sito contaminato”.
Si tratta quindi di una integrale disciplina del procedimento, poiché relativa a tutte le sue fasi, da quella dell’attività di accertamento della contaminazione al susseguente intervento, a sua volta compiutamente articolato nella previsione della bonifica e della messa in sicurezza, e, se necessario, in “misure di riparazione e di ripristino ambientale” (art. 242, comma 7). Una nuova disciplina perciò dell’intera materia, comportante di conseguenza l’abrogazione di una normativa (già superata con il d.lgs. n. 22 del 1997) risalente al 1996 nella quale non è previsto uno specifico procedimento per la bonifica dei siti inquinati, poiché limitata alle sole previsioni dell’obbligo “di procedere alla bonifica e alla rimessa in pristino dell’area”, nonché dell’obbligazione in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento del previsto tributo e sanzioni, neppure valendo in contrario la ritenuta specialità di questa normativa per il suo riferimento alla “attività di discarica abusiva”, non essendovi ragione per ritenere che la disciplina integrale di cui oggi al d.lgs. n. 152 del 2006 (che prevede anche un preciso sistema sanzionatorio) non debba applicarsi ai casi di contaminazione prodotti da discariche abusive, che resterebbero in tal modo disciplinati da una normativa incompleta a fronte di quella vigente per ogni altro caso.
Non contrasta con tali considerazioni la giurisprudenza di questo Consiglio citata dall’Amministrazione resistente, per cui l’inquinamento dà luogo a una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne siano rimosse le cause e i parametri ambientali non siano riportati entro i limiti normativamente accettabili (VI: 23 giugno 2014, n. 3165; 9 ottobre 2007, n. 5283); nelle dette pronunce, infatti, da tale presupposto è fatta derivare l’applicazione della legge ratione temporis vigente per far cessare i perduranti effetti della condotta omissiva ai fini della bonifica (nei casi di specie l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997), anche indipendentemente dal momento in cui siano avvenuti i fatti all’origine dell’inquinamento e non, come nel caso in esame, l’applicazione, quando l’Amministrazione ritenga ai detti fini di provvedere, di una normativa abrogata dalla previsione di uno specifico procedimento in materia, già introdotto con l’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, poi ulteriormente e compiutamente regolato con il d.lgs. n. 152 del 2006 vigente alla data di emanazione del provvedimento de quo.
Più in generale, l’assunto della sentenza appellata di considerare applicabili – non retroattivamente - le leggi sopravvenute in ragione della natura di illecito permanente del fatto contestato – inquinamento in seguito ad esercizio di attività di discarica abusiva – appare un’impropria lettura della nozione penalistica del reato permanente, trasposta nella nozione di illecito amministrativo permanente.
In particolare, tale assunto appare fondato sull’equivoco tra la permanenza della compressione del bene giuridico protetto e la permanenza della condotta.
Come è noto, il reato permanente si caratterizza per il fatto che, una volta realizzatisi tutti gli elementi costitutivi indispensabili per l’esistenza di un determinato illecito e prodotta l’offesa al bene protetto, questa si protrae nel tempo a causa del perdurare della condotta antigiuridica e colpevole del soggetto agente e si consuma definitivamente e si esaurisce sul piano della rilevanza penale soltanto con la cessazione della condotta.
Così, il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia illecita (Cass. pen., sez. III, 25 settembre 2001, Triassi).
Nel caso di esercizio dell’attività di discarica abusiva, la permanenza dell’illecito dura finchè dura la condotta antigiuridica e non già soltanto l’evento di inquinamento.
Né vale sostenere una concezione bifasica dell’illecito permanente, che durerebbe finchè dura l’omissione rispetto all’obbligo di rimuovere la situazione dannosa.
Tale concezione non è seguita dalla giurisprudenza, che afferma costantemente la struttura unitaria del reato permanente (Cass. pen., 11 luglio 2013, n. 40329; 1° ottobre 2012, n. 37930; 12 dicembre 2006, Gentile).
Essa, inoltre, è confutata dalla prevalente dottrina, che la considera un argomento che “prova troppo”: se fosse concepibile un obbligo secondario di rimozione, ogni reato che determina la sola compressione del bene protetto sarebbe allora un reato permanente, mentre è tale solo quello in cui permane la condotta antigiuridica.
Nemmeno vale richiamare che l’inquinamento produce una situazione di danno ingiusto eventualmente risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., trattandosi, nel caso, dell’eventuale azione di responsabilità da proporre davanti al giudice ordinario e non dell’esercizio dei poteri amministrativi in tema di bonifica regolati, come visto, da un’apposita normativa.
3. Deve anche essere accolta la censura avverso la dichiarazione di inammissibilità parziale del ricorso di primo grado per la mancata intimazione in giudizio della Solvay s.p.a.
La detta società non assume infatti la qualità di controinteressata nella causa in esame, non solo perché non formalmente menzionata nel provvedimento impugnato, ma in quanto non titolare di un interesse giuridico qualificato al suo mantenimento; essa infatti, quale proprietaria dei siti di cui si tratta, in caso di annullamento del provvedimento, potrebbe essere chiamata ad assolvere agli oneri gravanti sul proprietario dell’area ai sensi dell’art. 253 del d.lgs. n. 152 del 2006, ma ciò soltanto a seguito di un procedimento eventuale, essendo in sola facoltà dell’Amministrazione gravare il proprietario dei detti oneri ai sensi dell’articolo citato e venendo attivato perciò un procedimento non di per sé necessitato dall’annullamento del provvedimento qui impugnato e comunque diverso da quello per lui è causa.
4. Per le ragioni che precedono, assorbita ogni altra censura, l’appello risulta fondato e deve essere perciò accolto, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
La novità della questione trattata, in relazione alla circostanza della successione delle leggi nel tempo regolanti la specifica fattispecie in controversia, giustifica la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello in epigrafe n. 4432 del 2014.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del giorno 13 gennaio 2015 e del 10 febbraio 2015, con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/03/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

volantino Acqua pubblica2018